Nel 1979 la villa fu acquisita al patrimonio del Comune e dopo un completo restauro divenne sede della nostra biblioteca.
In particolare mi interessava lo scrittore Ambrogio Bazzero, primogenito di Ercole che aveva acquisito lo stesso nome del nonno. Egli fu esponente non di secondo piano , anche in ragione della giovane età, di quel movimento letterario ed artistico,che la storia della letteratura italiana identifica come "Scapigliatura". Si sviluppò nell'Italia settentrionale intorno al 1860, ebbe il suo epicentro a Milano, e gradualmente si propagò in tutta la nazione.
Avevo appreso, in maniera superficile, chi fosse Ambrogio Bazzero, tuttavia mi incuriosiva conoscerne attraverso le sue opere, la figura e il pensiero; mi venne in mente che l'antico bibliotecario Gaetano, mostrandomi le sale della biblioteca, alla mia curiosità su chi fosse quello scrittore così innamorato di Limbiate, liquidò la mia richiesta all'incirca così : " E' un poeta minore un pò sfigato, melanconico come Leopardi, che ha racchiuso la sua esistenza e la sua poetica nel rimpianto di non aver sposato una ragazza limbiatese di modeste origini , di nome Lidia".
Il ricordo di quella sbrigativa risposta e la rilettura di quella iscrizione, ha stimolato il desiderio di conoscere meglio Ambrogio Bazzero, che prima di noi, aveva scritto tra quelle mura, forse alimentando riflessioni e pensieri su Limbiate, con maggior fedeltà ai temi e ai luoghi , di quanto spesso chi ora vive queste stanze, è in grado di fare.
Il libro "La storia di un anima" meglio esprime le emozioni, gli umori , le malinconie, le sofferenze, che distillano dallo spirito inquieto di Ambrogio; nel suo linguaggio persistono la felicità e la tragedia, la lacerazione della grazia e il dolore per la bellezza.
In particolare il racconto di una giornata a Pinzano, tratta da una pagina del diario, mi ha affascinato , non per motivi campanilistici, ma perchè sono i luoghi a me più familiari e dove posso ripercorrere con la fantasia, come in un flash back , le emozioni vissute da Ambrogio.
Ecco ,cosa scrisse
Perchè su nell'organo guardando giù la chiesetta innondata di luce e di incenso, mi sono sentito tanto commosso? Perchè ti ho desiderato con me?
Poveri contadini, che avete lavorato sotto la pioggia, nel letame,forse colpiti anche dallo sprezzo di noi che passavamo in carrozza, poveri fratelli che sorgerete a vendetta in un dì non lontano, beatevi del sole , dell'oro, dell'incenso della vostra chiesetta. Contribuire a farvi gioire un pò, un sol giorno nell'anno, è affetto, è delicatezza, è forse anche dovere. Ed io come sono egoista!
(Sera) -- Torno da Pinzano dove si è ballato, e sono mesto come tutte le volte che vedo quel tripudio che a me non fu mai concesso . penso che l'educazione che mi diedero i miei parenti fu santa ma stupidina. Vedo anche i giovanetti delle famiglie che ricorrono alla Congregazione di carità, li vedo ballare. Spettacolo triste! Sento sul volto la polvere che mi gettano i tacchi delle danzatrici : e sono quasi geloso delle mogli altrui.
(Ambrogio Bazzero, "Storia di un anima" Milano- edizioni Treves - 1885)
Mi ha colpito anche, quanto scrisse Emilio de Marchi dell'amico e coetaneo Bazzero. Ne riporto qui alcuni stralci, dalla prefazione al libro - "Storia di un anima" - pubblicato postumo, dove spesso ricorre il racconto e il ricordo alla tanto amata Limbiate.
Così Emilio de Marchi parla di Ambrogio:
Il Bazzero era nato il 15 ottobre
Fin da fanciullo, dice un santo libricciuolo che mi fu dato di consultare, Ambrogio mostrò animo così pietoso, che non osava far male a una formica. D'inverno spargeva miglio e briciole di pane sul davanzale della finestra e godeva a vedere gli uccelli che venivano confidenti a mangiare. Era così semplice ne' suoi gusti che un fiore, un frutto, un bambino, un cagnolino rapivano subito la sua attenzione e bastavano a consolarlo e a rallegrarlo.
Questa semplicità di gusto egli conservò sempre, e passeggiando con lui, era curioso il vedere come egli sapesse rilevare il bello e il grottesco nelle cose più comuni, nel saltellare elastico d'un passerotto sull'erba, o nel subito atteggiarsi d'un gatto, o nei ghirigori d'un'inferriata, o nella frase volante d'un vetturale, o in un proverbio di contadini, dei quali sapeva ingegnosamente imitare la cadenza e i fiori del linguaggio.
Il pensiero era libero e audace, ma la volontà paurosa. Di questo squilibrio di forze, fra l'occhio che vede e la mano che non osa, egli si querelava spesso con me durante il nostro viaggio di piacere a Firenze e a Venezia, e spesso ne piange anche in questo libro, che è la storia dell'anima sua. Più che i codici amava le sue armi antiche di cui aveva in casa una ricca collezione, i suoi elmi, le sue spade rugginose, le celate, gli stocchi, gli archibugi a ruota. Nè minore era il suo entusiasmo per ogni altra sorta d'anticaglia, mobili, stipi, poltrone, inferriate, tappeti, e non già per moda, come usarono poi molti dei nostri ricchi, ma per il sentimento che gli faceva credere d'abbracciare in quelle cose lo spirito di più generazioni. Alle anime generose è poca soltanto una vita.
Non so dire se più dell'arte egli amasse la libera natura, Fin da fanciullo ebbe sotto gli occhi i malinconici dintorni del suo Limbiate e i grandi boschi di pino silvestre che coprono una vasta zona dell'alto Milanese, luoghi di caccia una volta e di sontuose villeggiature, oggi ingiustamente abbandonate. Per quei boschi, nati nell'ingrato solco della sodaglia, i sentieri si avviluppano in un inestricabile labirinto di selve, fra eserciti agglomerati di conifere, sottili, diritte, vicine, che quasi si toccano, che tolgono la luce del cielo o la lasciano solamente biancheggiare fra ciuffo e ciuffo pallidamente. E scendono e salgono le viottole in un mare di eriche e di felci. Stride la gazza, passa a volo, e va squassando le ali a posarsi sull'orlo d'un laghettone, in cui la piova del bosco si riversa in uno stagno viscido e giallastro che dorme nel silenzio verde della pineta. Tu vai e vai per miglia e per ore e non trovi che solchi, avvallamenti e nuovi eserciti di pini scaglionati su una vetta, talchè ora ti pare d'essere a un valico alpino, ora in un parco reale, ora in un deserto. Non una voce odi, non un fiato, se non è quello del vento che passa al disopra: o tutto a un tratto lo scoppio aspro d'un fucile e il frascare d'un cane. Vai ancora. Il bosco si schiarisce.
Al di là scorgi un non so che di bianco. È un cimitero abbandonato, sepolto nel verde, dove vorresti sdraiarti tutto supino, colle mani in croce, e chiudere gli occhi, e dormire, dormire nel seno molle della madre terra.
" O mio tranquillo cimitero di Limbiate, ti amo" scrive il Bazzero, mentre al crepuscolo rientrava in villa , aspirando il tenue odore dei legni di pino bruciato che dai focolari dei contadini, si stemperava nell'aria bruna. Rincasando si fermava a guardare " una bambina coi capelli biondi, colle pupille azzurre, una poverina che sedeva sui ciottoli, senza pensiero, col sorriso dei suoi otto anni".
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